GDPR 2018

GDPR 2018: che cosa c’e’ di nuovo e cosa c’e’ di vecchio.

Nel mio lavoro di professionista della privacy  ho avuto a che fare con aziende e pubbliche amministrazioni che  – chi con più impegno e sforzo, chi con meno – hanno provato ad adeguarsi alle normative cosiddette “privacy” che si sono succedute negli ultimi vent’anni.  Ma quando mi è capitato di incontrare queste aziende dopo un po’ di tempo, ho scoperto che tutti quegli sforzi – grandi o piccoli che fossero – non hanno avuto alcun seguito: è stato costruito un magnifico castello al quale però non è stata fatta alcuna manutenzione, e quel castello è caduto a pezzi, in qualche caso non esiste più e molti non sanno se sia mai esistito.

Ecco che allora, quando penso al GDPR e a tutti quelli che si preoccupano delle novità che questo introduce e degli investimenti che occorrerà fare per adeguarsi, insomma quando i miei clienti  mi chiedono quanto questo nuovo castello costerà loro, mi viene da dire che piuttosto che pensare a quanto occorrerà investire per costruire il castello (nuovi software, nuove tecnologie) sarà più importante pensare al dopo, a come organizzare e manutenere  i propri processi, a come tenere aggiornate le proprie persone, a come verificare, monitorare che i dati siano trattati nel rispetto dei principi, che l’efficacia delle misure di sicurezza sia sempre adeguata in rapporto all’evoluzione delle minacce e ai nuovi trattamenti che le aziende mettono in atto.

Sì, perché nel GDPR c’è poco di nuovo quanto a prescrizioni (il GDPR non ha poi tanto carattere prescrittivo), c’è invece moltissimo di nuovo quanto a principi e a responsabilità.

Uno dei principi chiave del GDPR 2018 è infatti quello di accountability, di responsabilizzazione.

E’ il Titolare, infatti,  che è responsabile di qualunque decisione in merito alle misure adeguate da predisporre, e le misure le stabilisce in base ai risultati dell’analisi dei rischi (e quest’ultima non è una novità, ricordate il DPSS la cui obbligatorietà era stata cancellata nel nostro ordinamento?). E l’analisi dei rischi va fatta sui trattamenti, occorre redigere un Registro dei Trattamenti (Il DPSS prevedeva un censimento dei trattamenti, anche qui nulla di nuovo…).

Ma le misure di sicurezza, i processi di trattamento, non sono qualcosa di statico. Inoltre può accadere che non tutta l’organizzazione sia costante nell’applicare i principi e le misure nella pratica quotidiana.

Ecco che allora il GDPR richiede che l’efficacia delle misure venga monitorata, che l’applicazione dei principi venga verificata: questo ha un solo nome, che nella versione italiana del GDPR è stato tradotto in maniera improvvida  in tre modi differenti. Questo nome è AUDIT: ecco quello che bisogna continuare a fare.

E molta attenzione occorre anche fare quando si progettano nuove misure, nuovi trattamenti: occorrerà rispettare i principi cardine del privacy by design e privacy by default.

E per i trattamenti più rischiosi (quelli che vengono operati su dati rischiosi per la libertà e dignità degli interessati, i dati sanitari, i dati biometrici, i dati genetici…) occorre provvedere a una Valutazione d’Impatto ancor prima di iniziare il trattamento. La legislazione attuale prevede una notifica al Garante, un atto il più delle volte solamente burocratico: il GDPR chiede qualcosa di più complicato, che va ad intersecarsi con il principio di responsabilizzazione (accountability): è sempre il Titolare che è responsabile di effettuare una valutazione d’impatto e decidere le misure.

In conclusione,  nel GDPR 2018 c’è molto di vecchio, di già presente nella normativa attuale, anche se in taluni casi un po’ nascosto tra le righe, ma spesso meno nascosto nei provvedimenti del Garante. La vera novità, come abbiamo potuto vedere, sta nella responsabilizzazione, nella necessità – anzi nell’obbligo – di fare manutenzione, ed è proprio lì che vanno anche ad inserirsi le nuove (quelle sì!) e molto più pesanti sanzioni.

Paolo Raimondi,  Privacy Officer e Consulente della Privacy

 

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